21 Mar 2023

BY: giannerini

Ansia / Ansia e attacchi di panico / Disturbi psicosomatici / Disturbo ossessivo compulsivo / Fobia

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PAURA DI FARSELA ADDOSSO

La paura di farsela addosso e quindi di perdere il controllo della funzionalità intestinale o urinaria, è più comune di quanto si pensi. L’ansia associata a tale disturbo può essere così intensa da scatenare attacchi di panico e, in molti casi può diventare molto invalidante, tanto da essere il tema attorno cui ruota la vita della persona che ne soffre.

Chi presenta tale disturbo è terrorizzato dall’idea di non trovare un bagno o di non fare in tempo ad espletare i propri bisogni fisiologici, immaginando l’esperienza umiliante di farsela addosso e di come questa esperienza comprometterebbe, per sempre, la propria immagine sociale.

Dal punto di vista clinico tale paura può prendere due forme, fobica o ossessiva compulsiva; nel primo caso la persona cerca di combattere il timore con il controllo mentale, mentre nel DOC, il tentativo di controllare ciò che spaventa, si esprime attraverso i rituali.

Le persone che soffrono di questo disturbo ossessivo-compulsivo, verificano continuamente se hanno bisogno o meno di andare in bagno. Spesso quando devono uscire di casa, la mattina prima di andare la lavoro, vanno in bagno ripetutamente, anche una decina di volte. Si sforzano fino ad avere evacuazioni o minzioni minime. Così il rituale da “soluzione” diventa problema, finendo per procurare dei reali problemi fisici, ad esempio possono sorgere problemi di colon irritabile.

Nel caso dell’ossessione si può osservare è la creazione di un vero e proprio circolo vizioso in cui, inevitabilmente, gli aspetti fisici si combinano con quelli psicologici.

 

Perchè insorge?

I motivi sono più d’uno, talvolta questa paura origina da un evento scatenante reale, che diventa traumatico per la persona. Ad esempio può essere scatenato da un episodio in cui la persona ha veramente vissuto l’esperienza di perdita di controllo dell’intestino a causa di un’influenza o di un virus gastrointestinale. Questo evento viene vissuto con molta ansia e la persona può strutturare un pensiero fobico o ossessivo che finirà per influenzare la sua percezione e ciò che metterà in atto in futuro.

 

Tipici comportamenti di chi ha paura di farsela addosso

  • evitamento delle situazioni in cui potrebbe non essere rapidamente disponibile un bagno (es. giardini pubblici, concerti, lunghi viaggi in compagnia, ecc…);
  • evitamento di alcuni cibi che potrebbero aumentare il rischio di avere mal di pancia o riduzione di liquidi
  • andare in bagno ripetutamente, se non compulsivamente prima di uscire di casa
  • controllo e ascolto costante delle proprie reazioni fisiologiche;
  • fare una sorta di mappa dei bagni quando è fuori casa;
  • assunzione di farmaci per scongiurare il tanto temuto attacco di dissenteria.

 

 

 

Se siete interessati ad approfondire l’argomento, consiglio la lettura di: 

“Ossessioni Compulsioni Manie” e “Terapia degli attacchi di panico” entrambi scritti da Giorgio Nardone e pubblicati da Ponte alle Grazie.

 

 

23 Nov 2021

BY: giannerini

Disturbo ossessivo compulsivo / Problemi di coppia

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IL TUO EX ERA MEGLIO DI ME? LA GELOSIA RETROATTIVA

Solo chi ha avuto la sfortuna di doversi confrontare con un partner che soffre di gelosia, sa quanto ci si senta inermi di fronte a questo problema e quanto sia devastante, non solo per il rapporto, ma anche per l’integrità della propria immagine.

Provare un pò di gelosia verso il partner è esperienza comune, così come non è patologico temere un un poco il confronto con la relazione precedente, soprattutto se è stata importante e costellata di eventi significativi. Quando si parla di gelosia retroattiva ci si riferisce a qualcosa di ben più opprimente, sia per chi la prova che per chi la subisce. Si tratta infatti una gelosia morbosa provata verso gli ex del proprio partner e può essere un pensiero così invasivo da rovinare ogni momento della vita di coppia perché anche l’evento più banale può far scattare il dubbio, il risentimento e nei casi più gravi addirittura la violenza.

Questa tipologia di problema è riscontrabile sia in uomini che in donne, con alcune differenze. Per le donne la gelosia si focalizza più sull’aspetto emotivo/affettivo (progetti di vita, condivisione di momenti di complicità e di romanticismo), nell’uomo il pensiero è più concentrato sugli aspetti sessuali della relazione precedente, in entrambi i casi il nucleo del disturbo è il bisogno di controllo e possesso. La particolarità è che, chi soffre di questa particolare tipologia di gelosia, rivendica una sorta di possesso, non solo sulla vita presente del partner, ma anche in modo retroattivo sul suo passato.

 

Cosa fa tipicamente chi ha questo problema?

 

  • Non riesce a smettere di immaginarsi il compagno o la compagna mentre vive storie passate. Ripensa spesso ai trascorsi sentimentali e/o sessuale del proprio partner e ha dolorose e a volte “scabrose” fantasie sulle sue vecchie relazioni.
  • I vissuti e le esperienze passate del partner vengono continuamente e rabbiosamente equiparate alle situazioni del presente.
  • l’intensità e la fissità dei dubbi gli provocano rabbia e risentimento.
  • In modo del tutto irrazionale infierisce contro il partner per ciò che ha vissuto prima di conoscerlo, arrivando a mortificarlo a tal punto da farlo sentire colpevole e “sporco”.
  • Sottopone ripetutamente la partner a domande intime riguardo ai suoi precedenti rapporti, spesso con una curiosità morbosa (es. “quanto spesso avevate rapporti?”, “come lo facevate?” “era più bravo di me?”) .
  • Spesso i momenti di tenerezza e di intimità sono compromessi a causa dell’intrusività dei pensieri, seminando nella coppia amarezza e frustrazione.
  • Chi soffre di gelosia retroattiva presenta una vasta serie di comportamenti controllanti verso il partner.
  • Chiede continue rassicurazioni rispetto al loro rapporto; ma a poco o nulla valgono le accorate rassicurazioni, l’affetto e le lacrime a scacciare il demone della gelosia.
  • Per il geloso o la gelosa  retroattiva non è sufficiente che il partner sia amorevole e si comporti correttamente nei suoi confronti, in ogni caso verrà giudicato sulla base delle storie che ha avuto in precedenza, che avranno, nella sua mente, sempre una connotazione negativa.

 

Quali sono le cause?

I motivi di questo problema possono essere vari, i più comuni sono: l’insicurezza e la scarsa autostima, il bisogno di controllo, la paura dell’abbandono o esperienze sentimentali passate in cui si è subito tradimento o comportamenti scorretti.

 

Come “sopravvivere” a un partner con gelosia patologica:

All’inizio di un rapporto amoroso è normale avere voglia di condividere tutto, di raccontarsi per conoscersi, ma se il nuovo partner vi ponesse domande esplicite e volesse particolari sulla vostra precedente vita sessuale, voi glissate elegantemente. Una delle regole auree se si vuole ridurre il rischio di inutili e dannose rimuginazioni o dubbi è, infatti, quella di non cedere alla tentazione di raccontare i dettagli delle precedenti relazioni avute, soprattutto per quel che concerne gli aspetti della vita sessuale.

Evitare confronti allusivi sulle esperienze fatte col precedente partner, perché questo, in una persona insicura può incrementare la competizione e il senso di inadeguatezza, con inevitabili conseguenze sulla serenità del rapporto.

Altro consiglio è quello di non assecondare il bisogno di controllo del partner geloso rinunciando alla propria vita. Non modificate le vostre abitudini, continuate ad uscire con le amiche o gli amici, andate alla cena di Natale coi colleghi, in palestra e a fare le cose che vi gratificano senza farvi condizionare da immotivate gelosie.

Evitate di sentirvi in colpa per ciò che avete vissuto, ricordate che il problema non è il vostro, ma di chi ha il disturbo.

Generalmente la persona nega di avere un problema e ” giustifica” la gelosia ossessiva come una conseguenza del comportamento dell’altro o banalmente nascondendosi dietro a un: “Sono fatto cosi!”. Chi ha questo problema, anche quando prende atto dell’esistenza dei suoi “schemi distorti” e della sua eccessiva gelosia, raramente è in grado di modificarli senza un valido supporto terapeutico, visto che questo tipo di ossessione è estremamente resistente al cambiamento.

Pur comprendendo quanto sia difficile allontanarsi da chi si ama, occorre tener presente che se la persona che avete accanto non riconosce di avere un problema o non cerca attivamente di cambiare, pur di fronte alla vostra sofferenza, dovete prendere le distanze. Avete diritto di stare bene e di essere amati e “valutati” per quel che siete oggi nella coppia, non per eventuali errori commessi e ancor meno per aver amato un’altra persona, questa non è certo una colpa.

Se per stare meglio dovete allontanarvi da chi vi accusa ingiustamente, vi denigra e dubita di voi, allora questa è la strada da seguire per riconquistare il vostro benessere.

24 Set 2021

BY: giannerini

Ansia / Ansia e attacchi di panico / Bambini / Fobia / Fobia sociale / Rapporto genitori figli / Senza categoria

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ANSIA SCOLASTICA

Si sa, la maggior parte dei bambini e dei ragazzi quando si alza al mattino preferirebbe non andare a scuola, ma per alcuni di loro, varcare la soglia di casa per affrontare la giornata scolastica è una vera angoscia.

La domanda è come si possa discriminare, se si tratta di capricci, di una semplice difficoltà o di poca motivazione oppure se ci si trova di fronte a un problema che vale la pena affrontare con l’ausilio di un professionista.

Utile precisare che non necessariamente i bambini e i ragazzi che soffrono di ansia scolastica hanno cattivi risultati scolastici, anzi, spesso sono studenti modello, molto rigorosi nello studio e con alte aspettative verso se stessi.

Di seguito troverete descritte alcune manifestazioni che caratterizzano l’ansia scolastica.

I sintomi più comuni

tipicamente si riscontrano nei soggetti che soffrono di questo problema sia pensieri negativi (di varia natura) all’idea di affrontare la giornata scolastica, che manifestazioni fisiche del disagio emotivo.

Le manifestazioni emotive più comuni sono: paura di prendere un brutto voto, ansia nel rapporto coi compagni di classe, paura di fare brutta figura coi compagni o col professore dicendo o facendo qualcosa di sbagliato o imbarazzante.

Le reazioni fisiche dell‘ansia possono essere anche intense: insonnia, mal di pancia, di stomaco, vomito o nausea, tremori e tachicardia.

Questi sintomi (emotivi e fisici) possono verificarsi già prima di uscire di casa o solo una volta arrivati in classe, oppure solo in prossimità di una interrogazione o di una verifica.

I casi di ansia scolastica sono molto frequenti e possono evolvere, a partire dall’adolescenza, in veri attacchi di panico. Per l’intensità con cui si manifestano possono indurre il ragazzo a non andare a lezione o a chiedere ripetutamente ai genitori di andarlo a prendere prima dell’orario previsto della fine delle lezioni.
I genitori, in queste situazioni, non sanno come comportarsi per essere d’aiuto, sono spiazzati perché si rendono conto che di fronte a una paura patologica, la rigidità delle regole non è efficace, ma anche la morbidezza e le rassicurazioni, servono a poco.

 

Che soluzioni adottare?

Certamente una prima cosa che un genitore può fare è parlare col figlio per capire il motivo del disagio, ma a volte loro stessi non sono in grado di fornire una spiegazione così chiara, questo è particolarmente vero se si tratta di un bambino.

L’aspetto rassicurante è che nonostante questo disturbo possa essere sofferto e invalidante, col giusto metodo può essere trattato efficacemente nell’arco di qualche mese.

Lo psicologo individuerà in primis la ragione che sta alla base dell’ansia e a seconda che il motivo del disagio sia prevalentemente legato all’ansia da prestazione scolastica, piuttosto che sul timore del giudizio sociale o dovuto a difficoltà relazionali e di conseguenza interverrà in maniera differente.

In terapia breve strategica si procede in questo modo:

▪si danno indicazioni ai genitori (se si tratta di un minore)
▪si insegnano delle tecniche al ragazzo/a per gestire la paura
▪si guida progressivamente il/la ragazzo/a a riaffrontare le situazioni che lo/la spaventano.

 

Nel caso in cui la fobia riguardi un bambino delle elementari o della scuola materna, è possibile risolvere il problema “istruendo” i genitori. Lo psicologo darà loro indicazioni di comportamento, piccole “strategie”, che gli permetteranno di aiutare il figlio senza dover coinvolgere il bambino direttamente terapia. Utilizzando quella, che in terapia breve strategica definiamo “terapia indiretta“.

02 Ago 2021

BY: giannerini

Ansia / Ansia e attacchi di panico / Disturbi psicosomatici / Fobia / Ipocondria

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Perché l’ansia aumenta in estate

La maggior parte delle persone attende trepidante l’arrivo della stagione estiva, ma non per tutti l’estate è un periodo di serenità e rilassatezza; per chi soffre di ansia, ad esempio, questo periodo dell’anno può trasformarsi in un piccolo incubo.

Quali sono le ragioni

Il caldo intenso, di per sé, è un potenziale fattore di stress visto che inevitabilmente porta ad un affaticamento fisico. Per questo è comune che i soggetti ansiosi, particolarmente attenti alle sensazioni corporee, nel periodo estivo, possono avere un intensificarsi degli attacchi di panico e dell’agorafobia.

In questo periodo dell’anno, il forte caldo e l’afa provocano reazioni fisiche come: sonno disturbato, affaticamento del respiro, aumento della sudorazione, giramenti di testa, cali di pressione. Nella persona che soffre di ansia tutti questi sintomi vengono confusi, scambiati per ansia o come il preludio di un attacco di panico.

 

Comportamenti e pensieri comuni a chi soffre di attacco di panico

Tipicamente chi soffre di disturbi ansiosi, non solo ascolta con preoccupazione ogni variazione del proprio stato fisico, ma cerca anche di controllare le reazioni fisiologiche involontarie (es. battito cardiaco, respirazione, deglutizione…). Il problema però è che, essendo funzioni spontanee, vengono involontariamente alterate proprio dal tentativo di controllarle, col risultato di spaventare sempre più la persona. Se questo meccanismo disfunzionale di interazione mente-corpo non viene interrotto si giunge fino all’attacco di panico.

Tal disturbo può dar luogo a pensieri catastrofici quali:

  • Fare qualcosa di incontrollato o imbarazzante (ad esempio svenire, vomitare o farsela addosso).
  • Paura di Morire (ad esempio avere un infarto)
  • Paura di Impazzire

 

In alcuni casi, il terrore provato durante l’episodio di panico è talmente forte che la persona può vivere nel costante timore che l’attacco si ripeta, innescando una spirale di ansia anticipatoria, che mantiene la persona in un perenne stato di allarme. Se al disturbo da attacco di panico si aggiunge l’agorafobia, il soggetto assocerà la paura di avere un attacco a certi specifici contesti di vita che vengono vissuti come “minacciosi”. Alcune situazioni di vita vengono percepite più difficili da affrontare proprio in virtù delle alte temperature estive.

 

 

In quali situazioni si manifesta con maggior intensità

Lo stato d’allarme solitamente si accentuerà in situazioni quali:

  • Luoghi affollati e caldi (es. ristoranti o negozi), che vengono percepiti rischiosi perché non si dispone di una rapida via di fuga in caso non ci si senta bene o per l’imbarazzo di doversene andare a causa di un attacco.
  •  Mezzi di trasporto: metropolitana, bus o treno (soprattutto quando mal arieggiati).
  • Guidare l’auto con il caldo intenso può accentuare il timore di sentirsi male in quella situazione e di conseguenza provocare un incidente.
  • camminare sotto il sole in una giornata afosa, non è piacevole per nessuno, ma per chi è soggetto a episodi ansiosi,  il verificarsi di capogiri, la stanchezza e la forte sudorazione, normali in tali condizioni climatiche,  possono essere letti come pericolosi anticipatori del sopraggiunge di un attacco di panico.

 

La paura preventiva di ciò che potrebbe accadere in questi contesti, porta a mettere in atto tutta una serie di comportamenti, volti a evitare le situazioni a rischio. La catena di evitamenti finisce col tempo a invalidare fortemente la qualità della vita della persona trasformando un viaggio, una vacanza, ma anche la vita quotidiana in una sorta di calvario.

 

 

21 Mag 2021

BY: giannerini

Problemi autostima

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La paura di non essere bella

Molte donne crescono con l’idea che essere belle sia fondamentale per essere felici, amate e avere successo; per questo vivono nella paura di non esserlo abbastanza. Fin dall’infanzia le donne sono bersagliate da messaggi che finiscono per intrappolarle nel mito della bellezza; nelle favole si è mai vista una principessa brutta?

La maggior parte delle donne conosce l’esperienza di trovarsi a guardarsi criticamente allo specchio e pensare che nulla di ciò che indossa le stia bene o di soffermarsi talvolta ad osservare il proprio viso e vederlo pieno di difetti. In taluni casi, però, questa auto-osservazione diviene una vera battaglia quotidiana con la propria immagine, una costante ricerca di perfezione, fino a sfociare in una sorta di ossessione che rovina la vita.

Per quale ragione le donne sono così preoccupate del loro aspetto?

Uno dei motivi è il bisogno di approvazione sociale e, ancor oggi, molto più che gli uomini, le donne vengono giudicate proprio per la loro immagine esteriore.

Un’altra importante ragione sono gli alti standard proposti dalla nostra società e dai vari canali “social” con cui  troviamo a confrontarci. Un modo virtuale che esalta e mostra corpi perfetti, propone immagini di famiglie felici e vite idilliache. Realtà “ritoccate” che hanno poco a che vedere con la vita vera, ma che subdolamente inducono alla ricerca di una perfezione che alimenta il senso di inadeguatezza e di frustrazione.

Per aderire a questi modelli sociali, pressoché ogni donna combatte col suo peso, perché oggi, per una donna, non è sufficiente essere normopeso, ci si aspetta che sia sempre magra, tonica e giovane. Per questo le donne si sottopongono alle diete più fantasiose, a massaggi settimanali e a ore di palestra, spendono piccoli patrimoni per l’acquisto di creme e trucchi, finanche a ricorrere a interventi di chirurgia estetica, solo con lo scopo di avvicinarsi agli stereotipi di bellezza imposti dalla società.

Tale supremazia dell’apparire ha notevoli ricadute sull’autostima e sull’equilibrio emotivo, soprattutto nei più giovani, portando manifestazioni che vanno ben oltre le normali insicurezze tipiche dell’adolescenza. Questi modelli di bellezza stereotipata sono uno dei fattori che contribuiscono all’insorgenza di psicopatologie estremamente pericolose quali i disturbi alimentari, in cui purtroppo sappiamo cadono tante adolescenti, così come possono portare a fissazioni su particolari del proprio corpo o viso che vengono visti come inaccettabili dal punto di vista estetico, fino a sfociare in un disturbo dismorfofobico. Ma non mi soffermo ora su questi temi delicati, perché meritano un discorso più approfondito e complesso.

Il cambiamento parte da noi

Il cambiamento parte da noi perché per prime debbono essere le donne stesse ad essere consapevoli che il loro valore, va molto al di là della loro estetica.

Il cambiamento parte da noi perché come adulti, educatori, genitori, zii o nonni, possiamo trasmettere alle nuove generazioni un nuovo modo di porsi in relazione con se stessi e con gli altri; possiamo insegnare ai ragazzi e alle ragazze a non giudicare e non giudicarsi in base all’aspetto fisico.

Il cambiamento parte da noi perché solo emancipandoci da falsi modelli e accettando le proprie peculiarità potremo vivere serenamente con noi stesse e con gli altri. Che il nostro corpo sia alto, basso, snello o formoso, possiamo essere comunque attraenti e interessanti, tutto dipende da come noi stesse ci percepiamo e dal valore che ci attribuiamo.

Dovremmo inoltre cominciare ad accettare che il tempo, la vita che abbiamo vissuto, ci ha fatto maturare e ci ha cambiate nello spirito, ma anche nel corpo. Avere qualche ruga o chilo in più non rende meno affascinanti e soprattutto non incide sul nostro valore di persone.

Per stare meglio dovremmo fare e essere ciò che ci piace, più che ciò che piace.

Le donne del 2000 studiano, lavorano, sono autonome e indipendenti, la bellezza non dovrebbe più essere il pilastro principale della loro identità.

Non è inseguendo la bellezza o una perfezione impossibile che si superano le insicurezze, la solitudine o il senso di frustrazione, semmai si amplificano esponenzialmente.

20 Gen 2021

BY: giannerini

Problemi di coppia

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Aspettative deluse

Quante volte ci siamo chiesti: “Perché faccio sempre gli stessi errori?” 

Giorgio Nardone, basandosi sulla sua ampia esperienza clinica e di ricerca, ha fornito un’interessante risposta a questa domanda e ha riassunto le sue conclusioni nel libro “Psicotrappole”.

Una delle più ricorrenti trappole mentali in cui restiamo da sempre imprigionati è la “psicotrappola” dell’aspettativa; che Nardone definisce “la tendenza ad attribuire ad altri le nostre percezioni e convinzioni, aspettandosi da loro esattamente le nostre azioni e reazioni.”

E, in effetti, chi di noi può dire, in tutta onestà, di non essere mai stato vittima delle sue stesse aspettative?

Il poeta Alexander Pope a proposito delle aspettative scriveva “Beato chi non si aspetta nulla, perché non resterà mai deluso.”

La funzione delle aspettative

Nutrire aspettative è assolutamente normale, perché rappresentano le convinzioni personali dettate dalle nostre esperienze, aspirazioni e valori che nella nostra esperienza si sono dimostrate utili. Le aspettative, dunque, non sono di per sé dannose, possono avere una funzione rassicurante, fungono un po’ da bussola poiché aiutano a formarci un quadro generale dell’esistenza e di ciò che potrebbe accaderci in futuro riguardo diversi ambiti della nostra vita, in particolare:

  • nel rapporto con gli altri
  • su “come va il mondo”
  • nel rapporto con noi stessi

Quando diventano dannose?

Le aspettative divengono dannose se ci irrigidiamo nella nostra posizione come se fosse l’unica possibile. In questo caso l’aspettativa, da funzionale diviene disfunzionale e quindi può trasformarsi in ostacolo in ogni ambito della nostra esistenza.

Come scrive Nardone : “Il problema inizia quando ci aspettiamo che la vita e gli alti procedano secondo i nostri standard e i nostri desideri. Se crediamo che il semplice fatto di desiderare che qualcosa si verifichi lo renda vero, allora stiamo ponendo le basi per una delusione certa.”

Pensiamo ad esempio al rapporto con gli altri, se avrò l’aspettativa che gli altri si comportino sempre “bene come me”, o comunque come io ritengo “giusto”, resterò di certo deluso e rammaricato, perché a volte questo accadrà, ma molto spesso mi relazionerò con persone che hanno idee e valori diversi dai miei; non necessariamente peggiori, soltanto diversi. Se parto dal presupposto che il mio punto di vista sia sempre quello giusto, rabbia e frustrazione saranno costantemente in agguato.

La situazione si farà più critica, quanto più sarà intenso il coinvolgimento emotivo, come ad esempio nel rapporto col partner. Nella coppia, l’aspettativa che l’altro senta, pensi o desideri ciò che noi stessi sentiamo, pensiamo o desideriamo è una delle trappole mentali che arrecano più frustrazione e sofferenza, sia a chi nutre l’aspettativa, sia in chi si vede giudicato o rifiutato per questo, influenzando negativamente l’andamento della relazione.

Per la stessa ragione un irrigidimento delle aspettative può indurci ad essere giudici estremamente severi anche nel rapporto con noi stessi. Il connubio tra aspettative troppo elevate e un atteggiamento intransigente, possono contribuire a creare un senso di auto-fallimento e delusione, se non riusciamo ad essere all’altezza delle nostre stessa aspettative, facendoci perdere fiducia in noi stessi e nel nostro valore.

Cosa fare?

Parafrasando Nardone possiamo concludere che, pur non esistendo un “antidoto” per questa psicotrappola, si dimostrerà certamente utile coltivare un atteggiamento di maggior apertura verso i punti di vista diversi dal proprio, sforzandosi di osservare la realtà attraverso gli occhi degli altri perché è fondamentale evitare di irrigidirsi nella propria prospettiva come se fosse l’unica e migliore.

 

 

Per chi volesse approfondire, gli stralci riportati in questo articolo sono tratti dal libro “Psicotrappole” scritto da Giorgio Nardone  e pubblicato da Ponte alle Grazie

19 Dic 2020

BY: giannerini

Senza categoria

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Perché si rimanda l’andare dallo psicologo

Se abbiamo una patologia fisica ci rivolgiamo il prima possibile a un medico, se abbiamo dolore a un dente andiamo dal dentista (anche se spesso non è piacevole), allora perché se abbiamo un malessere psicologico non ci rivolgiamo al professionista che se ne occupa?

 

I motivi sono:

  • Comunemente se si hanno problemi psicologici si tende a pensare: “è solo un momento, passerà” o “lo supererò da solo”. Magari si ha già il biglietto da visita di uno psicologo conservato nel cassetto, ma prima di ricorrere al suo aiuto si lasciano passare settimane, mesi, se non anni, nella speranza che il problema si risolva da sé. Si rimanda, pur constatando che la buona volontà o il parlare con parenti e amici non è sufficiente e, che il malessere è troppo gravoso perché possa risolversi spontaneamente. Si sottovaluta che l’aspettare spesso trasforma quella che era solo una difficoltà, in una vera patologia, proprio come quando un problema fisico viene trascurato.
  • Altre persone vivono il fatto di andare dallo psicoterapeuta come un segno di sconfitta o di debolezza, pensano: “Non sono abbastanza forte se non riesco a farcela da solo“, ma la verità è che chiedere aiuto è un gesto di grande maturità e forza.
  • A volte non si ha chiaro il ruolo dello psicologo. Spesso parlando con le persone mi sento dire: “anch’io sono un po’ uno psicologo”, questa frase sottende uno specifico pregiudizio, vale a dire che lo psicologo sia semplicemente una persona empatica che dispensa consigli. Ma lo psicologo non è “un amico a pagamento“! Lo psicologo e in particolare lo psicoterapeuta è formato per anni sullo studio del funzionamento delle dinamiche relazionali ed emotive oltre che sulle tecniche terapeutiche più idonee ad aiutare la persona a risolvere persona il problema presentato, sia esso un problema di coppia, familiare, un lutto o un vera patologia clinica, come un disturbo d’ansia, ad esempio.
  • A volte la ragione che allontana l’idea di andare dallo psicologo, è economica, anche perché ancora si pensa che la psicoterapia debba durare anni, ma non è necessariamente così. Esistono terapie, tra cui la Terapia Breve Strategica, che hanno livelli di efficacia estremamente elevati in tempi decisamente brevi.

Tutti abbiamo fragilità e commettiamo errori, ma quando questo compromette la nostra qualità di vita o quella dei nostri cari, è insensato non cercare l’aiuto di chi può farci star meglio. Si tratta solo di riconoscere di non avere gli strumenti giusti per affrontare e risolvere il problema.
Prendere in mano il telefono e chiamare il numero che teniamo in tasca da mesi è il segno che vogliamo cambiare le cose, e lo faremo noi, in prima persona, ma con il supporto di chi, dopo aver “studiato” la situazione e quello che abbiamo fatto fino a quel momento e che non ha funzionato, sarà in grado di fornirci strategie nuove e mirate per il problema presentato.

Chi inizia un percorso di psicoterapia è un individuo coraggioso perché è disposto a riconoscere di avere un problema e, a mettere in discussione comportamenti o atteggiamenti mentali che gli provocano malessere. Come per qualunque percorso che preveda un cambiamento, anche la psicoterapia richiede impegno e un po’ di fatica. D’altronde anche le cure mediche comportano lo stesso, ma il risultato finale è di alleviare il dolore e migliorare la nostra qualità di vita.
Avere dei momenti di smarrimento è normale, così come commettere degli errori. Si sbaglia spesso: si sbaglia col partner, coi figli, sul lavoro e a volte nel rapporto con se stessi. L’unico vero errore è rimanere a guardare passivi la nostra sofferenza.

29 Nov 2020

BY: giannerini

Ansia / Ansia e attacchi di panico / Ipocondria

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Paura di avere un infarto

Nella cardiofobia (a differenza che nell’ipocondria) l’oggetto della paura è ben definito ed è quello di avere malore improvviso: un infarto, un ictus o un problema circolatorio.  Chi soffre di cardiofobia è terrorizzato dai sintomi cardiaci che percepisce: tachicardia o bradicardia, aritmie, dolori o fastidi al petto, al braccio, ecc.

 

Cosa fa chi soffre di questo disturbo?

Ascolta il ritmo cardiaco

La tentata soluzione principale del cardiofobico è quella di focalizzare in modo ossessivo la propria attenzione sull’ascolto del cuore e dei suoi segnali nel tentativo di avere un controllo sul suo battito: mette la mano sul petto o sul polso e ascolta il proprio ritmo cardiaco oppure si misura continuamente la pressione.
Come accade per tutte le forme di controllo, anche questo porta a perdere il controllo, infatti il cardiofobico crea un vero e proprio paradosso: più tenta di rassicurarsi controllando il battito del cuore e più lo altera producendo un cambiamento nel ritmo cardiaco col risultato di innescare o aumentare l’ansia.

Consulti medici specialistici

Il tentativo di scongiurare la paura di morire di infarto spinge la persona a eseguire numerose indagini specialistiche focalizzate sul suo sistema cardio-circolatorio. Le rassicurazioni derivanti da queste indagini cliniche, però, non lo rassicurano mai quanto spera. Esiste anche una parte di soggetti che al contrario evita ogni controllo medico, per paura di un esito infausto,

Evita alcune situazioni

Il cardiofobico evita le situazioni che potrebbero fisicamente o emotivamente affaticare il proprio cuore: riduce l’attività sportiva, eviterà di fare molte scale o di correre, a volte segue regimi alimentari molto controllati, altri soggetti cercheranno di evitare situazioni che ritiene troppo emozionanti e quindi “rischiose” per il suo cuore. Le persone che soffrono di questo problema possono anche ridurre i viaggi, per paura di essere in luoghi in cui sarebbe difficile essere soccorsi in caso di un malore.

Parla della sua paura 

Tipico nei disturbi fobici è la socializzazione dei propri timori, nel tentativo di trovare rassicurazione e diminuire la propria ansia, senza rendersi conto che parlare continuamente dei propri timori produce l’effetto di amplificarli.

 

 

In questi casi, l’intervento di psicoterapia breve strategica sarà più focalizzato sul «riappropriarsi» delle sensazioni  cardiache senza entrare in ansia o in panico.

 

 

15 Nov 2020

BY: giannerini

Problemi di coppia

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SI PUO’ PERDONARE UN TRADIMENTO?

“Non ho mai avuto dubbi sulla sua fedeltà”, “Credevo fossimo una bella coppia”, “Come ho fatto a non capire?” questo e altro, capita di pensare quando si scopre un tradimento.

Nella vita di una coppia il momento in cui viene “scoperto” il tradimento è uno degli eventi più drammatici e può avere con conseguenze devastanti. E’ un po’ come uno spartiacque: segna un prima e un dopo.

Dopo lo smarrimento, si fanno largo il dolore e la rabbia e con loro, domande come: “Posso davvero credere che mi ami ancora?” “Come posso perdonare?”, “Come posso ricominciare a fidarmi?”

Il tradimento mina, non solo la fiducia verso il partner, ma anche verso se stessi. Ci fa sentire “non abbastanza”; non abbastanza attraenti, non abbastanza giovani, non abbastanza brillanti…

Mette in discussione sia l’immagine di noi stessi, ma anche che della persona che amiamo, che improvvisamente guardiamo come se fosse un estraneo e di cui mal tolleriamo la vicinanza.

Se è vero che il dolore più grande è sulle spalle di chi ha subito il tradimento, è pur vero che le conseguenze emotive si manifestano anche nel partner infedele, che può provare un profondo senso di colpa, per la sofferenza arrecata e sentimenti depressivi per aver commesso questa grave “offesa”.

La sofferenza arrecata da un tradimento è grande e devastante, non tutti sono in grado di perdonare perché ogni persona è diversa e ogni coppia è un mondo a sé. Nessuno può dire, a chi è stato tradito se è giusto perdonare oppure no; non potrà farlo l’amica del cuore, il fratello o la madre e nemmeno lo psicoterapeuta.

 

Come si può superare

  • Occorre molta forza e amore: per riparare le crepe date da un tradimento, ci vuole tanta energia, volontà e amore da parte di entrambi.

 

  • Comprendere l’errore: chi ha tradito deve aver compreso il suo errore e impegnarsi affinché non ricapiti, deve essere consapevole e pentito del dolore che ha provocato, riconoscendo, prima di tutto a sé stesso, che non valeva la pena di mettere a rischio la coppia per l’altra storia. Ma lo sforzo più grande, indubbiamente, è a carico di chi ha subito il tradimento, perché dovrà superare la delusione, recuperare la stima di sé e dovrà ricominciare a dar fiducia al partner.

 

  • Ricominciare a fidarsi; Chiunque lavori con le coppie, sa che la sfida maggiore, dopo un evento come questo è convivere con la paura che possa ripetersi e il re-imparare a fidarsi dell’altro e di non ultimo di sé.

 

  • Reggere le insicurezze e le paure dell’altro: per aiutare la ricostruzione della fiducia e del rapporto, chi ha tradito dovrà essere abbastanza solido da reggere le insicurezze che si sono create nel partner e, soprattutto nella prima fase, dovrà stargli vicino e sostenerlo nella faticosa ricostruzione della fiducia.

 

  • Evitare di fare continui controlli: se è naturale avere un periodo in cui si hanno dubbi e paure e un grande bisogno di rassicurazione da parte di chi ha agito il tradimento, è anche vero che questa fase non potrà durare in eterno. Dopo un po’ bisogna “correre il rischio” di fidarsi, altrimenti si può scivolare in una gelosia ossessiva e persecutoria, fatta di controlli, dubbi e rinfacci che finiranno soltanto per rendere la vita impossibile a entrambi.

 

  • Capire cosa non ha funzionato: per ricostruire un rapporto sano, si dovrà cercare di capire cosa non ha funzionato nel rapporto. Perché il perdono non può essere solo una “concessione” o una mera ammissione di colpa, ma dev’essere l’impegno comune di creare un legame più soddisfacente, ma soprattutto equilibrato e maturo.

 

La crisi della coppia come opportunità

Sembra difficile da credere, ma anche un’esperienza così dolorosa (se si tratta di un fatto isolato), quando ben elaborata può trasformarsi in qualcosa di utile al percorso della coppia. Quando entrambi i partner sono impegnati del progetto di ricostruzione potranno trarre insegnamento dagli errori che hanno portato alla crisi e diventare più consapevoli di sé, dell’altro e del valore del loro rapporto.

25 Ott 2020

BY: giannerini

Ansia / Disturbi psicosomatici / Fobia

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Paura di vomitare

La paura di vomitare è anche conosciuta come Emetofobia.

Anche gli emetofobici, come la gran parte di chi soffre di una fobia, riconosce l’irrazionalità della propria paura, ma ciò non lenisce la loro sofferenza.

Per ognuno di noi, l’idea di poter vomitare risulta molto sgradevole, ma le persone che soffrono di tale problema, non sono semplicemente infastiditi o spaventati, bensì terrorizzati all’idea di poter vomitare o anche di vedere persone che compiono questo gesto.

Talvolta la paura è talmente intensa che anche vedere scene di film o solo fotografie che ritraggano persone intente a vomitare, crea un’ansia fortissima.

Com’è facile intuire chi soffre di questa fobia vive nella paura di avere un disturbo gastrico che provochi nausea e vomito, per tale ragione questo disturbo può essere più accentuato nelle stagioni in cui sia più probabile contrarre virus gastro-intestinali.

 

Non tutte le persone che hanno di questo disturbo ne soffrono con uguale intensità. Molti riescono a condurre una vita pressoché normale, per altre persone, invece è estremamente compromessa per via dell’intensità del pensiero e del numero di evitamenti e precauzioni che la persona deve mettere in atto per sedare la sua ansia.

In taluni casi le donne che soffrono di questa fobia possono persino rinunciare ad avere figli perché spaventate dalle nausee che sovente si associano alla gravidanza

 

Cosa fa la persona per cercare di ridurre l’ansia?

 

  • riduce l’assunzione di cibo o liquidi prima di uscire di casa
  • può evitare di mangiare fuori dalla propria abitazione per il vero e proprio terrore di sentirsi male in situazioni che possano causargli imbarazzo sociale.
  • In generale tende ad evitare le situazioni sociali in cui possa essere complicato raggiungere velocemente un bagno o l’uscita, in caso si manifesti il tanto temuto conato di vomito, per tale ragione evita i ristoranti, i cinema, i concerti, i viaggi. In alcuni casi può essere estremamente complicato anche recarsi a lezione all’università.
  • si assiste inoltre a una attenta selezione gli alimenti  per via della paura che possano essere digeriti con difficoltà, privilegiando “cibi leggeri“.
  • possono abusare di farmaci antiemetici, spesso a scopo preventivo.
  • Il timore più frequente negli ematofobici è la paura di contrarre un virus gastrointestinale, questo le porta ad evitare i luoghi affollati o contatti con persone che potrebbero avere sintomi del virus, se non posso evitarlo, vivono la situazione con forte ansia.
  • tende a controllare ogni movimento del proprio stomaco e se avverte qualcosa di “strano” teme sia il preludio a un attacco di vomito. L’ansia dettata da questi controlli e ascolti del corpo finisce per provocare nausea, che aumenta l’ansia e il fastidio fisico, in un circolo vizioso senza soluzione.

 

Essendo una fobia che può presentarsi con intensità differenti, mentre alcuni emetofobici evitano qualunque situazione sociale in virtù della loro ansia, altri riescono senza problemi a viaggiare o a cenare fuori casa, ma tutti, in maniera maggiore o minore, adottano un qualche evitamento o controllo.

 

La terapia breve strategica può essere utile?

Si ritiene, erroneamente che la paura di vomitare sia un tipo di fobia poco diffusa, non è così. Piuttosto chi ne soffre si rivolge raramente ad un terapeuta per chiedere aiuto.

Il percorso di psicoterapia breve strategica risulta particolarmente indicato, perché riesce a modificare efficacemente le percezioni e i comportamenti disfunzionali che la persona mette in atto che invece che aiutare a risolvere aggravano il problema.